Share |

LA SERVA PADRONA di Pergolesi all’Auditorium di Turbigo

Pullman e ingresso riservato per i novaresi. Con Enrico Beruschi e l’Ensemble da Camera Carlo Coccia, direttore Beretta
Il prof. Paolo Beretta

Turbigo - "Nell’ambito della 28^ Stagione Musicale dell’Associazione “Amici della Musica di Turbigo” - spiega il coordinatore artistico dell'Attico delle Arti, prof. Paolo Beretta - andrà in scena sabato 7 maggio alle ore 21 presso l’Auditorium Comunale di Via Trieste a Turbigo, l’operina buffa “La serva padrona” di G. B. Pergolesi (“Intermezzo in due atti in forma semiscenica con costumi”). Personaggi ed interpreti: Linda Campanella, Serpina (soprano), Gabriele Sagona, Uberto (basso), Enrico Beruschi, Vespone (mimo). Ensemble Carlo Coccia, maestro direttore al cembalo Paolo Beretta; regia di Enrico Beruschi. L’ingresso a teatro è di € 15,00. In occasione dell’evento gli Amici della Musica di Turbigo, in convenzione con il Centro Culturale “Attico delle Arti” di Novara, organizzano un pullman dedicato, in partenza alle ore 19,45 da Largo Donegani, 5, Novara, al costo di € 5,00 a persona, compreso ingresso al Teatro".

Informazioni e prenotazioni alla Segreteria di Attico delle Arti, tel. 0321 691339 – 347 5765539 (la prenotazione si intende confermata al versamento dell’importo).

“La serva padrona” è un celebre intermezzo buffo di Giovan Battista Pergolesi. Composta per il compleanno di Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbüttel su libretto di Gennaro Antonio Federico, fu rappresenta la prima volta al Teatro San Bartolomeo di Napoli il 28 agosto 1733, quale intermezzo all'opera seria “Il prigionier superbo”, dello stesso Pergolesi, destinata a non raggiungere neppure lontanamente la fama della Serva padrona. Alla prima rappresentazione è attribuita a tutti gli effetti l'inizio del nuovo genere dell'Opera buffa. Lo stesso libretto fu ripreso da Giovanni Paisiello per l'omonima opera buffa. Nel 1734 avviene la prima nell'Académie Royale de Musique di Parigi e nella Reggia di Versailles, nel 1746 nel Théâtre-Italien di Parigi e nel 1750 nell'Her Majesty's Theatre di Londra. Il grande successo della ripresa del 1752 dell'Académie Royale de Musique scatenò una disputa, nota come “la Querelle des bouffons”, fra i sostenitori dell'opera tradizionale francese, incarnata dallo stile di Jean-Baptiste Lully e Jean-Philippe Rameau, e i sostenitori della nuova opera buffa italiana fra cui alcuni enciclopedisti (in particolare Jean Jacques Rousseau, anch'egli compositore). La disputa divise la comunità musicale francese e la stessa corte (con la regina che si schierò a fianco degli "italiani"), per due anni, e portò ad una rapida evoluzione del gusto musicale del paese transalpino verso modelli meno schematici e più moderni. Nel 1754 avviene la ripresa nel Théâtre-Italien come “La servante-maîtresse” nella traduzione in versi di Pierre Baurans e Charles Simon Favart e nel 1862 la prima all'Opéra-Comique di Parigi con Célestine Galli-Marié. Trama Un ricco e attempato signore di nome Uberto ha al suo servizio la giovane e furba Serpina che, con il suo carattere prepotente, approfitta della bontà del suo padrone. Uberto, per darle una lezione, le dice di voler prendere moglie: Serpina gli chiede di sposarla, ma lui, anche se è molto interessato, rifiuta. Per farlo ingelosire Serpina gli dice di aver trovato marito, un certo Capitan Tempesta, che in realtà è l'altro servo di Uberto (Vespone) travestito da soldato. Serpina chiede a Uberto una dote di 4000 scudi; Uberto, pur di non pagare, sposerà Serpina, la quale da serva diventa finalmente padrona. Sinossi Uberto, svegliatosi da poco è arrabbiato perché la serva, Serpina, tarda a portargli la tazza di cioccolato con cui è solito iniziare la giornata (Aspettare e non venire), e perché il servo, Vespone, non gli ha ancora fatto la barba. Invia, quindi, il garzone alla ricerca di Serpina, e questa si presenta dopo un certo tempo, affermando di essere stufa, e che, pur essendo serva, vuole essere rispettata e riverita come una vera signora. Uberto perde la pazienza intimando alla giovane di cambiare atteggiamento (Sempre in contrasti con te si sta). Serpina, non troppo turbata, si lamenta a sua volta di ricevere solo rimbrotti nonostante le continue cure che dedica al padrone, e gli intima di zittirsi (Stizzoso, mio stizzoso). Uberto si arrabbia e decide di prendere moglie per avere qualcuno che possa riuscire a contrastare la serva impertinente, ordina a Vespone di andare alla ricerca di una donna da maritare e chiede gli vengano portati gli abiti ed il bastone per uscire, al che Serpina gli intima di rimanere a casa perché ormai è tardi, e che se si azzarda ad uscire, lei lo chiuderà fuori. Inizia un vivace battibecco, che evidentemente è già avvenuto varie volte, ed in cui Serpina chiede al padrone di essere sposata, ma Uberto rifiuta recisamente (Duetto Lo conosco a quegli occhietti / Signorina v'ingannate). Nella seconda parte, Serpina convine Vespone, con la promessa che sarà un secondo padrone, ad aiutarla nel suo proposito di maritare Uberto; il servo Vespone si è travestito da Capitan Tempesta ed attende di entrare in scena. Serpina cerca di attirare l'attenzione di Uberto, rivelandogli che anche lei ha trovato un marito e che si tratta di un soldato chiamato Capitan Tempesta. Uberto, dolorosamente colpito dalla notizia, cerca di non farlo notare deridendo la serva, ma lasciandosi sfuggire, alla fine del recitativo, che, nonostante tutto, nutre nei suoi confronti un certo affetto e che sentirà la sua mancanza. Serpina, rendendosi conto di essere vicina alla vittoria, dà la stoccata finale, usando la carta della pietà, dicendogli di non dimenticarsi di lei e di perdonarla se a volte è stata impertinente (A Serpina penserete). Terminata l'aria Serpina chiede ad Uberto se vuol conoscere il suo sposo, ed egli accetta a malincuore, Serpina esce fingendo di andare a chiamare il promesso sposo. Uberto rimasto solo si interroga e pur rendendosi conto di essere innamorato della sua serva, sa che i rigidi canoni dell'epoca rendono impensabile che un nobile possa prendere in moglie la propria serva (Son imbrogliato io già). I suoi pensieri sono interrotti dall'arrivo di Serpina in compagnia di Vespone/Capitan Tempesta. Uberto è al tempo stesso esterrefatto e geloso. Il Capitano, che non parla per non farsi riconoscere, per bocca di Serpina, ingiunge ad Uberto di pagarle una dote di 4.000 scudi oppure il matrimonio non avverrà e sarà invece Uberto a doverla maritare. Alle rimostranze di quest'ultimo, il militare minaccia di ricorrere alle maniere forti, al che Uberto cede e dichiara di accettare Serpina come moglie. Vespone si toglie il travestimento, ma il padrone, in realtà felice di come si siano messi i fatti, lo perdona e l'opera finisce con la frase che è la chiave di volta di tutta la vicenda: E di serva divenni io già padrona Struttura dell'opera • Sinfonia Atto primo • Aria: Aspettare e non venire (Uberto) • Recitativo: Quest'è per me disgrazia (Uberto, Serpina) • Aria: Sempre in contrasti (Uberto) • Recitativo: In somma delle somme (Serpina, Uberto) • Aria: Stizzoso, mio stizzoso (Serpina) • Recitativo: Benissimo. Hai tu inteso? (Uberto, Serpina) • Duetto: Lo conosco a quegli occhietti (Serpina, Uberto) Atto secondo • Recitativo: Or che fatto ti sei (Serpina, Uberto) • Aria: A Serpina penserete (Serpina) • Recitativo: Ah! Quanto mi sa male (Uberto, Serpina) • Aria: Son imbrogliato io già (Uberto) • Recitativo: Favorisca, signor, passi (Serpina, Uberto) • Duetto: Contento tu sarai (Serpina, Uberto). Nel corso del Settecento divenne consuetudine sostituire Contento tu sarai, con il Duetto Per te io ho nel core, che Pergolesi scrisse nel 1735 per l'opera Il Flaminio.