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Confinato in Francia, pensa all’Italia, alla sua Novara

Il professor Ciro Isidoro

Novara - Al momento non è possibile sapere esattamente quanti sono gli italiani che vorrebbero rientrare dall'estero e quanti quelli bloccati. Dall’unità di crisi della Farnesina fanno però sapere che in media sono 2000-2500 italiani che ogni giorno rimettono piede nella Penisola. Quello che è certo è che le storie e le testimonianze mi arrivano anche via social e via chat. Siamo #distantimauniti. È domenica sera, quando il professore Ciro Isidoro mi manda un pensiero, a distanza appunto. Ci conosciamo da anni, abbiamo organizzato per anni il workshop internazionale 'No-Cancer' a Novara e l'ho sempre preso in giro perché nell'estate dell'83 io nascevo e lui si laureava. Ora si trova bloccato in Francia, “confinato” a Besançon, cittadina capoluogo della Franche-Comté, tra le montagne e il fiume Doubs.

Perché si trova lì? Da quando? Insomma che cosa è successo? "Sono arrivato qui il 23 Febbraio in missione di Visiting Professor all’Università Franche-Comté e sarei dovuto rientrare il 29 Marzo. Da tempo collaboriamo con i colleghi francesi ad un progetto di ricerca sulla fibrosi tissutale in ambito dermatologico e oncologico. Quando sono partito, l’epidemia da Coronavirus in Italia sembrava potesse essere tenuta sotto controllo e non c’erano avvisaglie di restrizioni. Poi la situazione è diventata preoccupante anche in Francia, e il 13 Marzo è stato annunciato il ‘confinamento’ obbligatorio e l’interruzione dei trasporti pubblici interregionali con effetto immediato". 

Lei sperava di poter prendere un volo, un treno, per rientrare? Chi le ha dato informazioni e disposizioni? 

"Pur se i confini rimanevano aperti, i trasporti via treno e bus per l’Italia sono stati tutti cancellati. Sono stato in contatto con il Consolato italiano sia di Parigi che di Lione, che mi hanno dato le informazioni a quel momento note. Da Parigi e da Nizza in effetti c’erano voli Alitalia per Roma Fiumicino".

Speranza infranta.

"Perché da Besançon non ci sono treni regionali collegati direttamente a questi aeroporti. Avrei dovuto prendere almeno tre treni per raggiungere Parigi o Nizza, e da lì poi il volo per Roma. Il Consolato mi ha sconsigliato di intraprendere un viaggio a tappe, con il rischio che potesse essere interrotto da provvedimenti dell’ultimo momento. E del resto, il permesso di abbandonare il domicilio è concesso solo in caso di “estrema necessità”, e il “desiderio di tornare a casa, in famiglia” non basta come giustificazione".

Come trascorre le sue giornate francesi? Cosa può fare?

"Nelle prime settimane ho potuto lavorare in Università con i colleghi e gli studenti. Dal 16 marzo sono “confinato” in casa. Avendo previsto di soggiornare cinque settimane avevo preso in affitto un piccolo appartamento in uno stabile con un cortile e giardino interno, fortunatamente, perché gli Hotel hanno poi chiuso e oggi mi ritroverei… in mezzo a una strada?!, chissà. Con l’autocertificazione è possibile uscire un’ora al giorno per le compere di alimenti e articoli di prima necessità e un’ora per fare attività fisica in solitario. Anche qui sono chiusi i ristoranti e tutti gli esercizi pubblici, con eccezione di negozi alimentari e panetterie. E poiché piace anche ai francesi, nei negozi si trova la pasta italiana e anche il caffè (e io mi ero premunito di caffettiera!). La mia giornata da “confinato” di lusso comincia quindi con un buon caffè espresso italiano. In genere, lo beviamo insieme con mia moglie via video-whatsApp. Dalle 9 alle 11 ho lezione di lingua francese online. Poi le notizie, prima i giornali italiani e poi il TG francese. Quindi inizia la giornata di lavoro: per prima cosa leggo gli ultimi articoli scientifici sul Coronavirus; poi mi dedico a leggere e scrivere articoli pertinenti alle mie ricerche sul cancro. Collegamento internet con i colleghi francesi per aggiornamenti. Sono a disposizione dell’Ospedale universitario nel caso di bisogno. Con i miei collaboratori in Italia abbiamo fatto un calendario di Lab meeting online, in cui discutiamo delle ricerche e degli articoli da sottoporre alle riviste scientifiche. Il laboratorio di ricerca a Novara naturalmente è stato chiuso, ma abbiamo tanti dati raccolti da mettere insieme e su cui ragionare. Siamo ottimisti e fiduciosi che torneremo presto alle nostre ricerche. Ben cinque studenti devono completare la tesi per laurearsi in Medical Biotechnology a luglio. Contiamo di poter fare gli ultimi esperimenti tra maggio e giugno".

C’è tempo anche per un po’ di svago?

"Alle 12.15, uscita per le compere. La città non è completamente deserta e le persone che passeggiano mantengono una cortese distanza e salutano cordialmente quando si incrociano. Anche le commesse sono gentili e molto disponibili, apparentemente non danno segni di nervosismo o preoccupazione. Purtroppo, ho visto aumentare il numero di clochard che si accampano in prossimità dei negozi alimentari nella speranza di ricevere qualche attenzione. E con piacere, vedo che c’è molta solidarietà nei loro confronti".

Alle 18.15, altra uscita per una passeggiata e qualche piccolo acquisto.

"Le uscite sono rigorosamente alle 12.15 e alle 18.15, perché se non mi hanno timbrato l’autocertificazione del mattino la posso riutilizzare modificando il 2 in 8! (è un piccolo artificio all’italiana, ma devo ottimizzare le poche copie che ho). Per pranzo e cena, provvedo da me. Cucino la pasta al sugo (la specialità sono le penne all’arrabbiata), le uova, la carne… e dalle foto dei miei piatti mia moglie dice che ho fatto progressi. Con mia moglie e i miei figli abbiamo appuntamento fisso per videochiamata a colazione, pranzo e cena".

La sera, dopo cena, si dedica a scambiare quattro chiacchiere con i parenti, gli amici e i colleghi in Italia sempre via whatsApp.

"Si cerca di sdrammatizzare con un po’ di ironia, sperando di esorcizzare le paure, ma poi… inevitabilmente le domande degli amici e dei parenti ricadono sempre su quell’argomento: “che sta succedendo? Cosa ne pensi tu?”. E naturalmente, si attendono rassicurazioni e speranze".

Da oltre 25 anni Isidoro è Professore - tra Novara e Alessandria - dei corsi di insegnamento di Patologia Generale e Immunologia, di Patologia Cellulare, di Oncologia Sperimentale all'Università del Piemonte Orientale (http://www.isidorolab.com/public/). È un docente dalla lunga esperienza, maturata anche in Germania, Regno Unito, Francia, Thailandia e Corea del Sud.

Da uomo di scienza, che idea si è fatto dell'epidemia, anzi della pandemia?

"Già, pandemia, quella che credevamo potesse essere solo una epidemia, prima in Cina e in Asia e poi per una malaugurata coincidenza qui da noi. E invece, si è rivelata poi una pandemia che ha coinvolto praticamente tutti i Paesi, con poche eccezioni. La Cina ci aveva “abituato” a epidemie virali che sporadicamente comparivano all’improvviso per poi sparire nel giro di qualche mese, ma senza mai toccarci così drammaticamente. Non eravamo preparati mentalmente (e ahimè, neppure con le strutture, il personale e il materiale necessario) ad una infezione virale di tali proporzioni in termini di contagio e di fatalità".

Confrontata con gli altri Paesi, l’Italia sta pagando un prezzo troppo elevato, abnorme. In particolare, le due regioni di Italia dove si concentra il meglio della sanità sono stremate per il numero di pazienti critici, e purtroppo molti di questi non ce la fanno.

"Per capire e dare una spiegazione a questa tragedia, dobbiamo attendere l’analisi comparata di tutti i dati di tutti i Paesi, dobbiamo acquisire informazioni sui pazienti (le malattie note e non note, le loro abitudini di vita come il fumo, l’alimentazione) e anche informazioni sugli ambienti teatro della tragedia (l’inquinamento ambientale; gli ospedali). Ma sarà necessaria anche la ricerca di base, quella che negli ultimi trent’anni è estata considerata superflua, perché non direttamente applicata al paziente. Manco fosse un hobby".

E invece, la storia della Medicina insegna che le cure vengono proprio dagli studi fatti in laboratorio, dove si ricerca la causa e i meccanismi della patologia, dove si fanno esperimenti per valutare l’efficacia di un trattamento.

"Solo la ricerca a livello cellulare, come ben avevano sottolineato Virchow e Bizzozero (per citare due Grandi), potrà dirci perché il virus attacca le cellule e provoca quella reazione che poi degenera in polmonite interstiziale, e perché questo accade più nei maschi che nelle femmine, e perché in alcuni casi il danno è multi-sistemico e fatale, e in altri casi (fortunatamente sono la maggioranza) no".

Come si viveva da italiani in Francia a fine febbraio, sapendo cosa accadeva a casa nostra e prima del lockdown francese?

"Quando sono partito, il 23 Febbraio, in Italia c’erano pochi focolai di infezione e si aveva l’impressione di riuscire a controllarli. Qui in Francia non si percepiva alcun pericolo. All’Università se ne parlava come fosse un caso esclusivamente ‘italiano’ di importazione cinese. Per me, che seguivo quel che accadeva in Italia sentendo i racconti dei miei familiari e anche quello dei miei colleghi impegnati in ospedale, l’apprensione cresceva di giorno in giorno. Ma confidavo che si riuscisse a contenere il contagio, e che gli ospedali potessero far fronte ai casi critici. Poi la situazione è diventata ingestibile, e ai primi di Marzo è stato fatto il decreto di chiusura delle Scuole e dell’Università, e successivamente è stato imposto il confinamento in casa. In quei giorni, qui la vita scorreva normalmente con i negozi e i bar aperti, e la gente per strada. Fino al venerdì 13 Marzo, poi anche la Francia ha preso atto del rischio. A differenza che in Italia, qui non si è proceduto per gradi e per zone rosse, ma da subito è stato imposto in tutto il Paese la chiusura dei locali pubblici, il blocco dei trasporti inter-regionali e il confinamento a casa. Quel giorno ho capito che dovevo rientrare in Italia, e ho subito prenotato il treno per il martedì successivo. Ma ormai era già tardi, la sera prima mi è giunta comunicazione che tutti i treni sarebbero stati soppressi. Inizialmente fino al 29 Marzo, giorno in cui avevo già la prenotazione per il rientro programmato. Ma adesso il blocco è stato prorogato fino a nuove disposizioni". E i suoi alunni - che le scrivono da ogni parte del globo - cosa dicono? "Questa esperienza che stiamo vivendo ha fatto emergere il lato buono di tutti, la solidarietà. E ha anche risvegliato la memoria delle vecchie amicizie e anche delle semplici conoscenze per caso, che prima erano superficiali e adesso ci sembrano più importanti. Tanti colleghi, anche quelli visti solo in occasione di un congresso, da tutte le parti del mondo mi scrivono per esprimere la loro solidarietà. E poi ci sono gli studenti, tanti…tantissimi, soprattutto dalla Tailandia, dalla Cina, dalla Corea del Sud, da Taiwan, dall’India. Studenti che sono stati miei tesisti qui a Novara negli ultimi quindici anni, e con alcuni di essi si era perso il contatto da qualche anno. Chiedono di noi, vogliono sapere come stiamo, e soprattutto ci danno coraggio, offrono solidarietà e sprono. Proprio alcuni giorni fa ho ricevuto un brevissimo video da parte di un gruppo di collaboratrici cinesi. Insomma un bell’esempio della solidarietà umana che non conosce confini, in un periodo in cui i confini sono chiusi per colpa del virus". Che cosa le manca? "Beh, prima di tutto l’abbraccio del mattino dei miei figli e quello di mia moglie (dopo che le ho portato il caffè a letto). Mi mancano i nipoti (non i nipotini, che non sono nonno!), gli amici e poi mi mancano tantissimo i miei studenti, i miei allievi. Ho scelto questo lavoro per essere al loro fianco, per accompagnarli nella crescita. Fare le lezioni online o registrarle e metterle sul sito dell’Università da cui poi loro possono scaricarle è un surrogato che non puo’ mai sostituire la bellezza del rapporto umano, della lezione interattiva… dove ci scappa la battuta di spirito che pure serve per attrarre la loro attenzione e favorire la memorizzazione. E poi mi manca il laboratorio e i miei ragazzi al bancone, che aspettano che io arrivi per farmi vedere gli ultimi risultati dei loro esperimenti, per sapere se hanno ben interpretato i dati, per chiedere consiglio su come proseguire. Il rapporto empatico con gli studenti e i miei collaboratori è qualcosa di straordinario: ti dà la motivazione per svegliarti al mattino e prendere il treno per andare a Novara (io abito a Torino), e quando torni a casa la sera non senti la stanchezza del viaggio".

Il suo pensiero va a Novara, a chi in particolare?

"Anche Novara si trova a fronteggiare una situazione che mai avrebbe immaginato. E Novara, lo ricordo, è la sede di un Master internazionale coordinato dal Prof. Francesco Della Corte propria sulla Medicina dei Disastri. Il mio primo pensiero è per tutti, e intendo tutti e in ogni parte del mondo, quelli che hanno dovuto cedere il passo a questo virus. A Novara, il mio pensiero va ad alcune persone tra queste che non ce l’hanno fatta e che ho conosciuto (mi vengono in mente il Prof Inglese, nostro docente, e l'imprenditore Renato Stella). E poi penso ai colleghi che in clinica si stanno prodigando per assistere i pazienti, lavorando senza sosta al Maggiore (il DEA con in prima linea il nostro Rettore Prof. Avanzi, la terapia intensiva e i reparti convertiti in Reparto Covid19) e al S. Giuliano. E poi gli studenti specializzandi, infermiere e infermieri e tutti quelli che fanno girare la macchina del grande Ospedale. Tutte queste persone sono lì tutti i giorni, sapendo di esporsi al rischio di contagio. Un ultimo pensiero anche agli amici, e qui ne ho tantissimi. Novara è la mia città di adozione, dove passo le mie giornate della settimana, dal mattino alla sera. Al mattino appena arrivo c’è il rito del caffè con gli amici. E poi ci vediamo per il pranzo o semplicemente per parlare di politica, di scienza, di grandi eventi. Sono amici carissimi Piero, Franco, Paolo, Corinne, Valentina, Maria Grazia, Angela, Giusy, e tanti altri. Sanno che mi trovo qui, un po’ solo, e mi scrivono per darmi coraggio e si offrono di essere di aiuto per la mia famiglia. Approfitto, in chiusura, per salutare l’amico Sindaco Alessandro Canelli e tutto il suo staff. Voglio concludere sottolineando che Novara ha un Ospedale con competenze di eccellenza, sia universitarie che ospedaliere. Grazie all’impegno di tutti Novara ce la farà".

Intervista a cura di Giusy Trimboli