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Il Collettivo Marielle sull'uccisione di Barbara Grandi

Novara - Riceviamo e pubblichiamo dal Collettivo Marielle: "È un brav’uomo. Ci siamo prese un giorno per riflettere con calma sull’uccisione di Barbara Grandi, avvenuta mercoledì in un paese della sonnacchiosa provincia di Novara, Trecate. Il delitto è solo l’ultimo di una serie ininterrotta di femminicidi che riguardano trasversalmente e senza distinzioni tutta la nazione, tutti gli ambienti e tutte le classi sociali. Il sospettato, che non ammette di essere il responsabile della morte della donna, è il compagno. I vicini riferiscono le solite litigate, i toni accesi, le urla, nulla di preoccupante insomma. Routine. Buona parte della cronaca locale, come avviene quasi sempre a livello nazionale, ha parlato dell’assassinio di Barbara Grandi come di “un altro fatto di sangue” avvenuto nel giro di pochi giorni a Trecate (circa un paio di settimane fa il paese era assurto agli onori della cronaca per l’uccisione di un uomo per mano del fratello): il termine femminicidio non è mai comparso, quando invece di questo si tratta. E su questo, come su altri aspetti, vogliamo fare alcune considerazioni. Si discute molto di sicurezza e delle misure che dovrebbero garantirla a tutti i cittadini: intensificazione dei controlli, DASPO urbano, installazione di ulteriori sistemi di videosorveglianza; ci consigliano di prendere lezioni di autodifesa e di avere sempre in borsetta lo spray al peperoncino, perché spetta a noi 1) intanto non metterci nelle condizioni di essere aggredite e 2) se dovesse succedere, difenderci. Diamo per utili tutti questi strombazzatissimi provvedimenti che dovrebbero proteggerci (tutti) all’esterno, quando siamo in balia degli sconosciuti. Peccato che la stragrande maggioranza delle violenze di genere e dei femminicidi avvenga tra le mura domestiche per mano di compagni, mariti o ex tali, padri, fratelli. La parola femminicidio, con buona pace di chi non ne vuole capire il significato, indica il movente, non la morta. L’uccisione di una donna investita sulle strisce pedonali non è un femminicidio, è un incidente. L’uccisione di una donna da parte del marito che non accetta la separazione, invece, è un femminicidio. È più chiaro così? Le parole sono importanti, perché definiscono, danno un nome alle cose, le fanno esistere e le rendono reali. Gli articoli e i titoli di quotidiani e TG contengono un’accozzaglia di vocaboli ed espressioni fuori luogo come “raptus”, “amore/amore non corrisposto”, “passione/delitto passionale” (che fa tanto Italia degli anni ’40), “gelosia”, “non si rassegnava alla separazione”, “è un brav’uomo”, ecc. Il contrasto alla violenza agita dall’uomo sulla donna parte anche dal corretto uso delle parole, dell’informazione e della narrazione, senza contare che una comunicazione di questo tipo finisce per deresponsabilizzare gli uomini e criminalizzare le donne. Quando si parla di violenza, fateci caso, si focalizza l’attenzione sulle donne, sulle vittime: degli autori, degli uomini, si parla poco, passano in secondo (terzo, quarto) piano. Puntare il faro sulle morte non fa che perpetuarne la rappresentazione come soggetti deboli. Violenze e femminicidi non sono un’emergenza, sono fenomeni sistemici di derivazione patriarcale e come tali vanno sradicati".