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Persone e storie... Lo sport per andare oltre l'apparenza

Ernest Guce, calciatore e allenatore giovanili si racconta, dalla partenza dall'Albania a quella casacca rossonera
Ernest Guce

Galliate - Allenatore, appassionato di calcio e soprattutto un giovane che ha una bella e già importante storia da raccontare: il protagonista del Persone & Storie di questa settimana è Ernest Guce.

Parlaci di te, dove sei nato, dove vivi e quali i tuoi interessi e hobby? "Sono nato a Lushnje, una piccola cittadina dell’Albania che dista a circa 30 km da Tirana il 6 aprile 1996. Anno che anticipa il periodo della guerra civile del ‘97, periodo difficile vissuto dai miei genitori e da tutto il popolo albanese. Da ormai 20 anni vivo a Galliate, essendomi traferito qui con i miei genitori agli inizi del 2000 all’età di 4 anni. Ricordo poche cose di allora, ma ciò che non scorderò mai sono le lacrime di mio nonno prima della partenza. Ero profondamente legato a lui e, nonostante fossi molto piccolo, non c’è ricordo di quei pochi anni vissuti lì dove lui non fosse presente. Fu l’ultima volta che lo vidi, perché lui scomparse due anni dopo la nostra partenza. Ricordo ancora che ai miei genitori disse: <Voi andate, fate quello che volete, ma almeno mio nipote lasciatemelo qui>. Oltre al calcio, ho sempre ammirato le arti marziali e gli sport da combattimento in generale. Ammetto che a primo impatto possono sembrare violenti, ma per capire gli sport da combattimento, un po’ come nella vita, bisogna andare oltre all’apparenza".

Tuo rapporto col calcio: gioie e dolori... raccontaci qualche aneddoto. "Il calcio è il primo vero ricordo che ho dell’Italia. I miei genitori si sono trasferiti qui a Galliate per raggiungere i miei zii, i quali si trovavano in Italia da diversi anni. La cosa che oggi mi fa sorridere è che mio zio ha scelto di trasferirsi in Italia, vicino a Milano, perché lui è sempre stato un grande tifoso del Milan, cresciuto guardando gli 'Immortali' di Sacchi e il suo sogno era quello di vedere San Siro dal vivo. Naturalmente è lui che mi ha trasmesso la passione per il calcio e soprattutto per il Milan. Il bello del calcio è che ti fa vivere cosi tante gioie e dolori in campo che fai fatica a raccontare. Mi viene più semplice parlarti da tifoso: la gioia più grande è stata la Champions League vinta dal Milan contro la Juventus nel 2003. E il dolore più grande è stata la finale persa dal Milan nel 2005 ad Istanbul".

Tu e il calcio giovanile, come mai e com'è nata questa scelta? "Ho giocato a calcio da quando avevo 6 anni fino a due stagioni fa, navigando tra Promozione e Prima Categoria. Gli ultimi 3 anni mentre giocavo, ho iniziato anche ad allenare, per dare una mano a un mio allenatore delle giovanili, lo stesso che questa stagione mi ha dato la possibilità di allenare per il Milan Academy Soccer Boys di Turbigo (Mi). Più passava il tempo, più perdevo stimoli da giocatore, e meno mi divertivo. Considerando anche che non sono mai stato un fenomeno e che il sogno del professionismo, per me era ormai svanito da anni. Allora ho scelto di dedicarmi a pieno alla vita da 'allenatore', perché ho iniziato a ritrovare stimoli nuovi, ho iniziato a rivedere il calcio con l’occhio di un bambino. E se non lo guardi con l’occhio di un bambino il calcio non ti permette più di sognare. Il calcio giovanile racchiude il periodo più della vita di un calciatore. I ricordi più belli e più sani li vivi tutti nelle giovanili. Forse è per questo che ho deciso di 'tornare' in questo ambiente. E oggi sono felice di poter lavorare con tanti bambini ed è grazie a loro se ricordo di nuovo che significa veramente giocare a pallone".

Ti rivedi un po' in quei ragazzi che giocano a pallone quando li alleni? E cosa pensi e speri di infondere in loro? "Naturalmente mi ci rivedo pienamente in loro: è questa la cosa più bella. Rivedi i sogni, le gioie, i dolori, la fatica, la paura e mille altre emozioni che solo questo gioco ti fa provare. Secondo me il compito principale dell’allenatore a livello giovanile dev’essere quello di infondere al bambino la fiducia giusta in se stesso, per poter realizzare il suo sogno. Bisogna far capire al bambino o al ragazzo che non è mai troppo tardi per arrivare dove si sogna, se si lavora duramente e in un certo modo. Noi programmiamo gli allenamenti, decidiamo come metterli in campo in partita, ma se non trasmetti al bambino la giusta cultura del lavoro anche nello sport, il bambino non darà mai il massimo durante gli allenamenti né tantomeno nelle partite. E la dura legge dello sport è che se non dai il massimo sempre, non migliorerai mai a sufficienza, di conseguenza realizzare il sogno di arrivare nel professionismo diventa più difficile. Diciamo che questa cosa io, come altri, l’ho capita tardi e cerco di trasmetterlo ogni giorno ai ragazzi. Essendo Milan Academy loro soffrono magari di qualche pressione in più rispetto alle mie da giocatore, considerando che oltre al divertimento gli si chiede di lavorare in un certo modo per farli crescere, però fino ad oggi non hanno mai mollato e sono orgoglioso di averli con me. Nel calcio non basta essere fenomeni per arrivare lontano. Serve solo allenarsi duramente. In poche parole il nostro compito è quello di lottare per il sogno dei nostri ragazzi. Naturalmente il primo impegno resta la scuola, poi viene il calcio".

Cosa ti piacerebbe fare 'da grande'? Sogni e ambizioni? "Il mio sogno resta quello di poter lavorare nel calcio professionistico a tempo pieno, per poter dedicare tutti i giorni allo sport che amo. Se oggi posso investire tempo per poter realizzare questo sogno, devo solo ringraziare la mia società che insieme al Milan sta investendo molto per la 'formazione' dei propri allenatori a livello giovanile. Fino ad oggi non ci hanno mai fatto mancare niente sia in campo che fuori. Inoltre ci hanno dato la possibilità di poter incontrare e farci formare da grandi icone del passato. Il sogno proibito invece è quello di poter allenare il Milan un domani, ma qui la strada si fa un po’ più lunga e complicata. Ma alla fine sognare è gratis quindi non mi vergogno di dirlo" e qui ci scappa una grande risata...

Infine, un grazie e un vaff... a? "Un grazie a te, Gianmaria, per esserti interessato e per la tua gentilezza. Il vaff** invece non lo dico mai a nessuno senza una vera ragione", altra risata e chiudiamo una bella chiacchierata all'insegna dello sport, quello vero.

Gianmaria Balboni