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Camus lo straniero

Borgomanero - Tutto il travaglio interiore del secondo novecento, emerge con prepotenza nelle parole di Valerio Agliotti, filosofo, nel commentare le opere del francese Albert Camus, in particolare “L’Etranger” e “La peste”. L’analisi di Agliotti, partita dal punto basilare che vuole un Camus che si nutre degli scritti di Nietzsche e dell’esistenzialismo francese, è approdata al fulcro centrale del discorso, ovvero l’elemento dell’assurdo. In pratica quello che lo scrittore francese, morto nel 1960 in un incidente d’auto, intravede nel “divorzio tra uomo e natura”, il sentirsi perennemente “staccati” attraverso il sentimento dell’estranietà, ovvero L’Etranger, condito dalla nostalgia, la sensibilità filosofica per eccellenza. Da questa osservazione, Agliotti, ospite sabato 13 aprile alla Villa Marazza per iniziativa del Gruppo di Lettura, ha posto l’accento sui vari personaggi che si “muovono” nei racconti dello scrittore transalpino. Partendo da Mersault e dalla sua “totale indifferenza” (straniero perché è indifferente al mondo!) e al “non rapporto” con gli altri, per arrivare alla definizione di “partager”, ovvero colui che è incapace di dividere e condividere, passando per le opere teatrali come “Caligula”, il filosofo arriva ad evidenziare che “la morte testimonia il divorzio tra uomo e mondo”. Una particolarità che mette in risalto ivolti dei vari personaggi, ovvero: Meursault, l’indifferenza pre sociale; Caligula, la contestazione antisociale e Clarance, l’altruismo egoista per terminare con il tentavo di riconciliazione di Camus, nelle opere successive attraverso vecchi termini e nuovi significati, con il “mondo” approdando alla fratellanza e all’altruismo.

Agliotti ha terminato il suo intervento con il mito di Sisifo, nel quale l’amore per gli uomini suscita l’ira degli dei, sottolineando che “stare accanto agli uomini durante il flagello (la peste) è sentirsi fratelli, cioè la necessità che sostiene l’idea di Comunità”.