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COLAZIONE DA TIFFANY: DOPPIO SPETTACOLO AL COCCIA

foto di Pietro Pesce

Novara - Sabato 24 alle 21 – Turno A e domenica 25 novembre alle 16 – Turno B al Teatro Coccia va in scena "Colazione da Tiffany" di Truman Capote, adattamento Samuel Adamson e traduzione Fabrizia Pompilio; con Francesca Inaudi e Lorenzo Lavia e con Flavio Bonacci, Anna Zapparoli, Biagio Forestieri, Fortunato Cerlino, Giulio Federico Janni, Cristina Maccà, Ippolita Baldini, Riccardo Floris, Pietro Masotti. Scene Gianni Carluccio; costumi Alessandro Lai. Regia di Piero Maccarinelli. Produzione Gli Ipocriti.

Piero Maccarinelli, mettendo in scena Colazione da Tiffany, sapeva benissimo che, nell’immaginario collettivo, il suo lavoro poteva entrare in rotta di collisione con l’omonimo film di Blake Edwards del 1961 interpretato da Audrey Hepburn e venire ad esso accostato o, peggio ancora, paragonato. E’ bene chiarire subito che il film in questione ha ben poco da spartire con quanto messo in scena al Teatro Eliseo. Il film è una alquanto libera trasposizione del romanzo breve di Truman Capote. Sono noti, a tal proposito, i contrasti anche gravi sorti tra Capote stesso, la produzione e la regia durante le riprese, e questo sia per la caratterizzazione che nel film ha la protagonista, sia per la rielaborazione del finale. Nella trasposizione cinematografica la professione di Holly Golightly è mostrata edulcorata, nella veste patinata propria dei film perbenisti della Hollywood di allora ed il lieto fine accomuna i due protagonisti. La riduzione teatrale di Samuel Adamson, messa in scena da Maccarinelli, è invece una fedele trasposizione del lavoro di Capote e ne rispecchia toni e ritmi. La protagonista ha le caratteristiche che troviamo nel libro, lo stesso vale per l’atmosfera, l’ambientazione e, soprattutto, il finale. Ma chi è veramente Holly? Abita n un modesto condominio dell’East End di New York, apparentemente non ha un lavoro definibile come tale. Si sa che di giorno si alza molto tardi perché trascorre gran parte della notte in giro nei vari locali di New York. Vive come capita; riceve da “qualsiasi gentiluomo con un minimo di chic” cinquanta dollari (siamo nel 1943!) “per la custode del gabinetto”; altri cinquanta per il taxi, e così via. Conduce una vita “border line”, ma se ne rende conto? Davvero è così ingenua come vuole farci credere? Ogni giovedì, spacciandosi per sua nipote, va a trovare un delinquente che sta scontando una condanna nel penitenziario di Sing Sing; si intrattiene con lui per un’ora, ritira un “bollettino meteorologico” che consegna all’avvocato del gangster ricevendo in cambio cento dollari in contanti. Davvero non si rende conto che quei bollettini non sono altro che “pizzini”? No, Holly vive queste situazioni quasi con distacco; si capisce da come ne parla. Non si fa condizionare né contaminare da esse, semplicemente le attraversa nel suo viaggio, nella sua più o meno consapevole ricerca. Dice di sé: “Non voglio possedere niente finchè non avrò trovato un posto dove io e le cose faremo un tutto unico. Non so ancora precisamente dove sarà. Ma so com’è”. Forse, però, per comprendere chi sia veramente Holly basta leggere il suo biglietto da visita; c’è scritto: “Signorina Holiday Golightly, in transito”.