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GIGIO ALBERTI, ALESSIO BONI E ALESSANDRO HABER in ART

Novara - Giovedì 4 aprile alle 21 Gigio Alberti, Alessio Boni e Alessandro Haber sono al Teatro Coccia per presentare la commedia "Art" di Yasmina Reza; regia di Giampiero Solari.

"All'amicizia maschile - commenta Gigio Aloberti - sentimento generalmente considerato così puro, così autentico, così naturale, goliardicamente semplice, anche così sacro, specie in Italia, viene data una bella scartavetrata da questa autrice francese, Yasmina Reza. Una donna quindi. Che sbircia in una serata di tre vecchi amici, uomini fatti, divertenti, simpatici, folgoranti nelle loro battute, ognuno con una storia sentimentale non facile alle spalle, (i rapporti con l'altro sesso non sono mai facili si sa) per vedere se davvero l'amicizia tra uomini sia questa specie di Paradiso terrestre dove ognuno ritrova se stesso e se stesso riesce ad essere. E la risposta è no. Non è così. Basta un minimo pretesto, in questo caso l'acquisto da parte di Serge di un quadro bianco per dare il via ad uno scontro feroce tra i tre. Dove si svelano debolezze e meschinità. Dove emerge come il bisogno di affermare se stessi per dare una ragione al proprio esistere sia alla base di tutti i rapporti. E se il finale sembra ricondurre ad un lieto fine, ad una riconciliazione, ad una amicizia rivitalizzata e rinnovata, la Reza lascia in realtà aperta una questione non semplice. È davvero la sincerità il modo migliore per far durare un rapporto? O non piuttosto una giusta dose di menzogna?".

"Un quadro bianco - dice il regista Solari - pagato molto. Scattano le reazioni degli amici di chi lo ha comprato. Esagerate, forse guidate dalla passione, dall’amicizia. L’amicizia. Il passaggio di un’esistenza insieme. Soli. Creando alleanze. Due contro uno. Altri due contro uno. Si provoca violenza nei rapporti. Violenza. Il tutto accade, forse, inconsapevolmente, dentro il quadro bianco. Forse è così, tutta la vicenda, le discussioni appassionate, le verità, le bugie, le alleanze, le insicurezze, tutto accade dentro il quadro bianco. Come un passaggio dentro un quadro bianco. Il paradosso del testo fa in modo che ci si rida sopra. Con ironia, con affetto, una risata in cui ci si riconosce. L’apparente satira sull’arte contemporanea diventa la finestra per entrare in un meccanismo di rapporti sull’amicizia. Il tutto… dentro un quadro bianco. Dentro. Dopo esserci passati… ci si confonde con il paesaggio e si sparisce". 

Marc (Gigio Alberti) è un uomo senza mezze misure, duro, o bianco o nero, o con me o contro di me, uno che si spezza ma non si piega, che è sempre meglio la verità detta in faccia, anche se fa male, uno che non ha paura di essere "antipatico" in un mondo di persone che cercano di farsi accettare facendo "i simpatici", uno sempre controtendenza, provocatore, fuori riga. Nemico di ogni moda, specie di quelle artistiche, che lanciano nuove tendenze ogni momento nel tentativo di scimmiottare una vivacità culturale, nemico della "buona società" borghese. Nemico, e questo è il suo problema, quasi di tutto. Perché il tentativo (sacrosanto! datemi un lanciafiammeee!) di opporsi a tutto ciò che c'è di fasullo intorno a noi rischia di portare all'immobilismo. Al cinismo. Al non saper più cogliere in niente un movimento vivo ed autentico che ci possa arricchire. (Di questo lo accusa giustamente Serge). Anche perché di questo suo essere contro, come spesso accade, Marc ne ha fatto una ragione di vita, una giustificazione alla propria esistenza, il suo "segno". È lui con il suo gruppo di amici contro tutti. E quando si sente tradito dall'amico che spende una cifra spropositata per un quadro bianco è tutto il suo mondo a crollare. È la sua stessa esistenza ad essere messa in discussione. Se esisti solo per essere "contro", se esisti solo per quello che rappresenti e non per quello che sei, ogni cedimento, anche minimo, nelle tue posizioni è già la fine. Non può essere accettato. Solo nella ricomposizione finale dell'amicizia Marc capirà, forse, che vivere non è lasciare segni, ma attraversare uno spazio bianco e scomparire.

Serge (Alessio Boni) è un dermatologo, in un periodo molto delicato della sua vita, divorziato con figli, probabilmente sta mettendo tutto in discussione e cerca abbastanza disperatamente di essere accettato dall'Elite della società in cui vive ed essendo amante dell'arte pensa di assurgere a questo gradino "superiore" frequentando l'ambiente dell'arte contemporanea, fino a quando non riesce ad acquistare un quadro che insegue da parecchi mesi, un quadro bianco, costosissimo, il giocattolo nuovo da mostrare agli amici e di cui vantarsi, un segno visibile con il quale vuol far capire che le cose sono cambiate. Credo che Serge sia il burattinaio di "Art", perché si assume, consapevolmente, la responsabilità di un "assassinio": quello della parità. L'arrivo di questo quadro da 200.000 euro sconquassa l'amicizia e segna la fine dell'unione di questi tre uomini, poiché è stato proprio lui a decidere di rompere il patto dell'uguaglianza, e così le regole non scritte dell'amicizia cominciano a sgretolarsi e le famose affinità elettive non trovano più il loro equilibrio. Serge avverte la necessità di un cambiamento, perde la propria innocenza con un atto prosaico, brutale, comincia a frequentare conoscenti altezzosi, dimenticando i suoi amici (soprattutto Marc e Ivan), si circonda di cose, là dove prima c'erano affetti. È un adulto irrisolto, nel matrimonio, nel rapporto con i figli, con gli amici. Per sfuggire all'ultima non risoluzione, quella con se stesso, cerca disperatamente la comodità di un Dio, lo trova nell'artista e nella sua opera, uno spazio bianco in cui riesce a leggere se stesso e nient'altro.

Yvan (Alessandro Haber) ha la pazienza dell'uomo mite. Dell'uomo mite ha la collera debordante, spropositata ed inopportuna tipica di chi ha scelto, per vocazione o inettitudine, di mediare, di fare da paciere, di imporsi come presenza silenziosa, punto di equilibrio tra due caratteri fortissimi, competitivi e discordanti quali Marc e Serge. Yvan ha la tenera debolezza di chi non è nato per essere trascinatore, del giocatore che non sa impostare ma è capace di giocare solo di rimessa. Non crea la propria vita, si adatta alla propria vita, non la sceglie, viene scelto, quasi sempre per ultimo, ultima risorsa sicura ed affidabile, l'amico che ci sarà sempre poiché contempla con terrore l'idea di distruggere rapporti non creati da lui ed ai quali non è indispensabile. Yvan vive la solitudine dell'incassatore, di chi sa prenderle ma non sa darle, considera le relazioni umane (con la madre, la sua fidanzata Catherine, i suoi amici Marc e Serge) come un rifugio e non un terreno su cui combattere, su cui affermare i propri sentimenti, la propria volontà di dimostrarsi unico, superiore. Yvan non ha pregi, se non uno, la sua sconfinata bontà, un grande cuore che gli consente di commuoversi con un'innocenza adolescenziale di fronte ai fatti della vita sua e degli altri. Ma piange da solo, sempre. Qualcuno direbbe che si tratta dell'auto consolazione di un miserabile. Qualcun altro, ed io sono tra questi, direbbe che gli uomini veri piangono solo quando sanno di non avere attorno nessuno che li possa guardare.