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LA FATA MATEMATICA AL FARAGGIANA

Ada Byron Lovelace, storia della donna che sognò il computer, scritto e diretto da Valeria Patera con Galatea Ranzi e Gianluigi Fogacci

Novara - Grande attesa per lo spettacolo La fata matematica, in scena al teatro Faraggiana il prossimo giovedì 9 novembre alle ore 21. Protagonista l'attrice Galatea Ranzi, attualmente sugli schermi con La ragazza nella nebbia e reduce dai successi de La grande bellezza.

Valeria Patera firma come autrice e regista La fata matematica una delle sei produzioni che ha dedicato alle grandi storie della scienza pubblicando con prestigiosi editori i testi interpretati dai maggiori attori italiani e portati anche all’estero e con il patrocinio di prestigiose istituzioni universitarie e scientifiche: (“La mela di Alan”- su Alan Turing, con David Sebasti, “Straniero bandito” sul Nobel Max Perutz con Massimo Popolizio - “IO, Charles Darwin, tracce e voci dalla mia vita” con Paolo Lorimer - Staminalia, a dream and a trial con Patrick King e Johan Silverhug “Le parole di Rita”, racconto teatrale per voce, musica e video dalla vita e dalle lettere di Rita Levi-Montalcini con Giulia Lazzarini) partendo dal presupposto che se la storia del teatro è storia dell’evoluzione culturale dell’Uomo, il teatro è il luogo per raccontare i personaggi che hanno scritto in prima persona importanti pagine di questa stessa evoluzione e per incontrarli attraverso le loro emozioni, le lotte, le sfumature più umane, le loro passioni e i loro sogni, i concetti innovativi.

Alle origini del computer c’è una donna, Ada Byron Lovelace (1818/1852) figlia del poeta romantico Lord Byron e considerata l’inventrice del software e profetessa della computer age. LA FATA MATEMATICA è uno spettacolo intenso dove attori, musica e video dilatano il tempo di una notte d’insonnia, poco prima della sua fine a soli 36. E’ il ricordo della sua intensissima vita fatta di grandi passioni sia intellettuali che erotiche, l’amore per il padre mai conosciuto, la conflittualità con la madre, il rapporto con Charles Babbage, il grande matematico che con lei mise a punto la macchina analitica, di fatto il progenitore del computer Donna ribelle che anelava alla libertà e alla conoscenza ebbe una vita avventurosa e drammatica e morì a trentasei anni. La rappresentazione teatrale si dà in un notturno articolato in tre quadri che si scandiscono dentro una incisiva struttura musicale e, nella parte centrale, con una sequenza video che apre un’ellissi temporale. La scena è un’essenziale scatola nera mossa da una partitura di luci. Nel primo quadro Ada si rifugia nel suo studio a cercare un guscio di silenzio e di intimità a conforto della sofferenza fisica che l’attanaglia e questo silenzio spalanca memoria e coscienza. Si lascia avvolgere dal nastro dei ricordi in un flusso liberatorio che attraversa ellitticamente il tempo di una notte insonne. Tornano i versi e la presenza immaginaria del padre mai conosciuto, torna la voce imperiosa della madre, torna l’infanzia solitaria e severa, le malattie e l’incontro con la matematica, le amicizie preziose e il ricordo della campagna. Ma il fervore della mente e dell’anima squarciano il notturno e nel secondo quadro in video invade la luce degli anni giovanili. Ada si trasfigura e in un flash-back avvampa l’energia radiosa della perduta giovinezza, lo slancio vitale di quel momento straordinario durante il quale lavorava con il famoso Charles Babbage al progetto della macchina che, azionata dal vapore, facesse calcoli matematici e un’ampia serie di altre operazioni programmabili con le schede perforate. Pensava ad una macchina multifunzione a cui trasferire parti della nostra conoscenza per poterne fruire in modo più ampio e rapido: era il sogno del computer e dell’èra digitale. Qui si gioca la parte profetica di Ada consegnata alla storia dell’informatica, lo splendore della mente di “quella maga che ha sparso la sua formula magica intorno alle massime astrazioni della Scienza e ha saputo penetrarle con una forza che pochi intelletti hanno avuto modo di mettere alla prova”, come disse di lei Babbage che appunto la soprannominò “the mathemathical fairy”, “la fata matematica”. Dopo aver compiuto il suo arco in un intenso flash-back si dissolve, riemerge il notturno del terzo quadro in cui, lucida e febbrile, Ada torna al suo solitario presente nel 1852, consapevole della fine imminente ma tuttavia accesa di lampi di vita intensa: il ricordo della passione in cui sfociò la relazione con Babbage e il focoso nuovo amante John Crosse, complice anche della sua rovina economica a causa del vizio delle scommesse che condividevano. Poi la voce affronta un’agone con il fantasma della madre e il passo della morte che incede apre una catarsi. Ada riemerge con parole luminose, mente lucidissima e profetica attraverso la quale si guarda dal futuro che lei sa porterà la sua impronta, dilata lo sguardo oltre il visibile e stilla una poesia ispirata all’arcobaleno che lascerà come epitaffio per la sua tomba. Mentre la vita richiude le sue ali su di lei, la fata matematica spicca il suo volo più alto, si libera di ogni paura e timore, raggiungendo quell’altrove da dove era partita consapevole di “lasciare per l’umanità, dietro ai miei passi, un briciolo di quel bagliore dall’altrove che ha fatto risplendere sul mio capo e anticipazione e indicazione, uno sguardo su ciò che il grande futuro svelerà”.