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L'Orchestra Carlo Coccia in concerto in San Gaudenzio

Gianni Biocotino

Novara - Per la ventisettesima volta, sarà l'Orchestra Carlo Coccia  a tenere venerdì 31 gennaio 2020, alle ore 21 (con ingresso libero) presso la Basilica di San Gaudenzio il concerto di chiusura per le manifestazioni in onore del Santo Patrono novarese. Tutto sul côté barocco il programma, che annovera ben quattro dei complessivi Sei Concerti Brandeburghesi di  Johann Sebastian Bach.

Nello specifico si ascolteranno: 

Concerto Brandeburghese in fa maggiore n.1 BWV 1046

Concerto Brandeburghese in fa maggiore n.2 BWV 1047

solisti: Gabriele Cassone, tromba Andrea Chenna, oboe Olivia Centurioni,violino  Gianni Biocotino, flauto  

Concerto Brandeburghese in sol maggiore n.3 BWV 1048

Concerto Brandeburghese in re maggiore n.5 BWV 1050

solisti: Ottavia Centurioni violino Gianni Biocotino (foto) flauto, Fabio Bonizzoni  clavicembalo

Per l'occasione l'Orchestra Coccia si presenta in formazione cameristica, secondo i migliori standard filologici oggi universalmente adottati, suonando dunque senza direttore, come ormai d'abitudine, potendo contare su un primo violino (Olivia Centurioni) di altissimo livello in veste di maestro concertatore. Non certo da meno gli interpreti che affronteranno le parti solistiche del Secondo e Quinto Concerto, vale a dire Gabriele Cassone (tromba), Andrea Chenna (oboe), Gianni Biocotino  (flauto) e Fabio Bonizzoni (clavicembalo): tutti affermati musicisti dalla vasta esperienza e dalla carriera di livello internazionale. 

Quanto ai Brandeburghesi - si sa - si tratta di una delle più straordinarie sillogi della Storia della Musica, capolavori assoluti, per la loro bellezza, ricchezza contenutistica e quant'altro. Tuttora affascinano i pubblici di tutto il mondo, rivelando la grandezza del sommo Kantor che  sì è soliti confinare all'ambito sacro, laddove seppe scrivere altresì pagine di 'intrattenimento' di massimo livello (dacché di questo si tratta) e così pure di indubitabile spettacolarità (massime nel caso del Secondo con la svettante sonorità della tromba) e del Quinto con l'ensemble del concertino affidato a violino, flauto e cembalo.

Composti durante gli anni di Köthen e detti così in quanto dedicati a Christian Ludwig, margravio di Brandeburgo, come da cerimoniosa dedica datata 24 marzo 1721, i Sei Concerti Brandeburghesi  (definiti Concerts avec plusieurs instruments) si differenziano l’uno dall’altro per l’appunto per scelta di organico, ma altresì per ‘taglio’ formale, atteggiamenti stilistici e quant’altro; vera e propria sintesi del concerto barocco e mirifico compendio di goûtfrancese, italiano e tedesco, tra i vertici assoluti della musica di tutti i tempi, ciclo unitario ideato con quello spirito enciclopedico, quello sperimentalismo geniale più volte posto in atto da Bach: ad esempio nel concepire le Sei Suitesper violoncello solo o le violinistiche  Sonate e Partite, nel progettare la doppia ‘raccolta’ dei 48 Preludi e Fughe che costituiscono il Clavicembalo ben temperato come pure nell’erigere un monumentum all’arte della variazione con le sublimi  Goldberg o ancora nell’ideare L’Arte della Fuga, l’organistico  Orgelbüchlein e via elencando. 

Se il  Primo  - celeberrimo, solenne e cerimonioso - s'impone all'ascolto per l'incisiva bellezza dei suoi temi, la singolare struttura formale e la smagliante veste timbrica (contrappone corni da caccia, oboe e fagotto agli archi), ma anche la capacità di dialogare dei singoli strumenti e le maniere 'francesi' della parte conclusiva, il   Secondo (tagliato in tre movimenti, come nella abitudini 'italiane' segnatamente vivaldiane, cui Bach reca un esplicito hommage) a maggior ragione presenta un alto tasso di solismo (tromba, flauto dolce, oboe e violino intrecciati in  serrati  dialoghi). Impossibile non restarne ammaliati. Ancor èiù stupisce pensare al livello degli strumentisti di cui Bach verosimilmente disponeva alla corte di Köthen. 

Il Terzo (come poi anche il Sesto), in particolare, è per soli archi. Concerto ‘di gruppo’, dunque, caratterizzato da notevole omogeneità timbrica e singolare ‘compattezza’ di scrittura, costantemente vivificata da una fitta trama contrappuntistica. Presenta un’insolita caratteristica formale: è costituito infatti da due soli movimenti, collegati da una cadenza frigia spesso in sede esecutiva amplificata grazie a vere e proprie improvvisazioni. Se il movimento iniziale s’impone per l’estroversa cordialità non meno che per il vasto itinerario armonico esperito, nell’Allegro  conclusivo, dall’evidente taglio bipartito, l’elemento propulsore risiede in una semplice scala alternativamente affidata ai singoli archi: che, con prodigiosa e trascinante verve ritmica, sigla in modo indelebile l’intera pagina. 

Meritatamente celebre, il Quinto, scritto nella smagliante tonalità di re maggiore, presenta in funzione di ‘concertino’ un trio formato da violino, flauto traverso e clavicembalo. Concepito secondo un lineare conio tripartito, s’inaugura con un Allegro dalla scorrevole  allure avviato da un tema svettante che subito s’impone per la vigorosa agilità e la nobile scioltezza. Il clavicembalo riveste assoluta rilevanza; se inizialmente dialoga con flauto e violino, spesso impegnato in giochi imitativi di botta e risposta col ‘tutti’, come da copione nel cosiddetto genere del Concerto grosso, ecco che, con sorprendente coup de théâtre, si fionda poi in una virtuosistica cadenza di inusitate proporzioni, toccatistica e baluginante, come improvvisazione dalle fiammeggianti efflorescenze, tenendo tutti col fiato sospeso e in scacco l’intera orchestra ammutolita da siffatto ardire; tant’è che a buon diritto nel Quinto si suole individuare uno tra i prototipi di concerto solistico per strumento da tasto: col cembalo protagonista assoluto in funzione concertante, emancipatosi dal mero ruolo di basso continuo. L’Andante centrale (qualificato Affettuoso, termine di raro impiego in Bach a designarne l’alto tasso di galanteries) vede gli archi ‘in panchina’, sorta di sonata a tre dai garbati dialoghi, amabili e cameristici conversari. In chiusura un pimpante Allegro  dalla prodigiosa scrittura polifonica - col cembalo ancora vistosamente impegnato a ribadire la sua primazia - innervato di cartesiano esprit come di geometrico tempo di suite, con quel suo tema avviato in imitazione e poi ibridato di trilli che ha qualcosa di vagamente folklorico, quasi evocazione di  una danza irlandese o gaelica. Impossibile non restarne ammaliati.