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Marenzi di Herno si racconta

Serata partecipata ad Arona con il presidente del Sistema Moda Italia e la Compagnia delle Opere
foto di Fausto Ferioli

Arona - Sono molteplici le riflessioni sulle profonde trasformazioni che sta vivendo l’industria italiana e sulle possibili alternative per ricostruire un’economia che metta al centro il bene delle persone e lo sviluppo della società. Questo lo spirito con il quale la Compagnia delle Opere Novara e VCO ha presentato ieri sera, nella magica cornice di Arona, un ospite di eccezione: Claudio Marenzi Presidente Herno e Presidente del Sistema Moda Italia, che si è raccontato a Bernhard Scholz, Presidente nazionale Compagnia delle Opere e alla folta ed attenta platea. Marenzi è stato un oratore travolgente, convinto ed appassionato. Ha rivoluzionato alcuni pensieri abituali sull’impresa e sull’imprenditore. “L’imprenditore è un direttore d’orchestra, non è l’azienda” ci racconta.

E inizia con la storia dell’azienda e della famiglia: “HERNO nasce nel 1984. Negli anni 2000 l’azienda era terzista con prospettive in discesa. Nel 2005 abbiamo preso la decisione di ricalibrarci sul marchio. C’era da rivoluzionare l’azienda e questo passaggio ha diviso la famiglia. Con l’appoggio di mio padre abbiamo fatto una scelta coraggiosa di marchio, facendo entrare un fondo nel 2007: allora fatturavamo 7 mio di cui 5 per terzisti, oggi i numeri sono 60 mio di cui 50 di HERNO. Abbiamo lavorato inizialmente sul consolidamento del prodotto, poi del marchio e adesso sulla distribuzione. L’entrata del fondo è stato fondamentale per una questione di governance. Il fondo ha fatto sì che il Consiglio di Amministrazione aziendale diventasse più strutturato: io dovevo spiegare non solamente il prodotto ma anche i numeri a gente che non aveva nessuna conoscenza del settore. Mi ha costretto a lavorare. L’estate da ragazzino la passavo in azienda e come ricompensa mio padre mi portava a Pitti. In quel luogo davo un volto a quei capi che tagliavo, cucivo e stiravo. Sono 34 anni che vado a Pitti e sono sempre più innamorato del nostro settore. Nel 2005-2007 ho fatto una società mia per distribuire HERNO. A mio padre dissi che occorreva riportare la centralità del marchio dell’azienda e diminuire il conto terzi. Lui era d’accordo, peccato, mi disse, che la proposta arrivi dal figlio sbagliato! Come nel tennis, si grida solo l’out. Quando le cose vanno bene non sia dice nulla, solo quando vanno male.”
Prosegue spiegando le strategie di prodotto e di marchio che a un certo punto vengono rivoluzionate: “I clienti mi dicevano che HERNO era un bel prodotto, ma vecchio! Quando sei confuso e non hai una strategia chiara il mercato ti dimentica e distrugge. Avevano in mente la HERNO degli anni 70! Non era strategico anche se io sapevo che avevamo provato tante strade diverse, le abbiamo provate tutte. Non riuscivo a capire e poi ho avuto chiara la risposta: quando sei confuso il mercato ti cancella. E quindi il ricordo era quello legato alla storia. Bisogna essere assolutamente coerente coi propri messaggi. Il mercato ci riconosceva per lo sportswear. Siamo partiti e abbiamo lavorato con grande attenzione alla qualità mantenendo il processo produttivo ma con tessuti nuovi: abbiamo mixato tessuti più performanti e tecnici ma in abiti da città. La grande svolta l’abbiamo avuta quando è arrivata l’applicazione della piuma, senza sacco e quindi abiti più leggeri. Il secondo passaggio è stato consolidare il marchio. Comunicarlo. Il prodotto passa ma col marchio forte riesci a superare le piccole crisi. Abbiamo lavorato sulla comunicazione in modo non liturgico sempre uguale a se stessa, contraddicendo le tendenze che vogliono nel settore moda un cambio di comunicazione ogni sei mesi. Stessa immagine ovunque dalla pubblicità al lay-out dei negozi con il famoso gancio su una trave di acciaio a evocare modernità e con il cuoio che è tradizione, unici corollari al capo che è il prodotto. Non serve altro perché il nostro cliente è intelligente! Molto minimalista e veniamo riconosciuti così.”
Cosa ha spinto un imprenditore giovane ad andare controcorrente e a scommettere nel cambiamento? “L’azienda non è dell’imprenditore ma dell’azienda. Ho dovuto scegliere tra la tranquillità della famiglia o l’azienda: ho scelto l’azienda. Oggi l’imprenditore rappresenta la ridistribuzione del reddito sul territorio. Il legame con il territorio è per me un punto fondamentale: mi sento lacustre e ho tutte le tipicità della gente di lago. So di dover dare le direttive all’azienda ma ne vedrò una parte. Ho la mia visione di cosa potrebbe essere l’azienda tra 30 anni. Potranno essere i figli a succedermi ma non è detto che saranno loro a guidare l’azienda. Non basta un legame di sangue per poterlo fare. Nel nostro paese ci si basa sulla tradizione: è la nostra forza ma può essere la nostra debolezza se non ha il fuoco sacro della passione del prodotto e dell’azienda”.
Interviene Scholz: “L’azienda non è la famiglia, ma la famiglia deve mettersi al servizio dell’azienda. Un imprenditore con una grande passione da una parte per il prodotto e dall’altra con una precisa linea strategica. Quanto è stato sofferto l’ingresso del fondo? E i tuoi collaboratori come ti sono venuti dietro?”
“Sui collaboratori è stato più facile di quanto pensassi” risponde Marenzi. “Nasco con un animo commerciale. Dopo il liceo mi sono iscritto a filosofia. Mi sono messo sul mercato con i prodotti che il mercato mi riconosceva. Mi sono concentrato molto. Sulla comunicazione mi sono reso conto che è più una fisima del nostro settore il cambiamento. Non ho voluto cambiare la comunicazione ma mantenerla sempre uguale. Il fondo è rimasto in secondo piano e non ha voluto spremere. Sui collaboratori ho trovato da subito un braccio destro e sinistro con cui siamo in empatia. Se un mio collaboratore mi deve dare sempre ragione ne ho uno che costa meno che è lo specchio. Mi sentivo responsabile per loro. Quando andavo al Pitti mi salutavano come se fossi partito per le crociate e quando tornavo mi chiedevano come era andata. Sono veramente orgoglioso del fatto che in azienda si respira un’aria serenamente positiva. La grande soddisfazione non è economica ma vedere l’azienda che cresce e vedere le persone lavorare felici. Entusiasmo impagabile”.
E sui collaboratori ci racconta: “I miei collaboratori sono passati da 50 a 150 e li ho sempre scelti io. Io decido non sulla competenza ma sull’entusiasmo, e sul fatto che si possa integrare all’interno del gruppo, li voglio tutti tifosi! Inoltre ritengo importante far crescere la struttura dall’interno e la possibilità di crescita per tutti. Dove voglio arrivare? Non mi do limiti, di più! Ma è un percorso dove ne vedrò un pezzo. È quasi un lavoro da contadino, devi avere pazienza. Se vuoi invece stressare la crescita allora è una questione solo finanziaria. Vedo HERNO come una nuova Hermes!”
Sul Made in Italy la riflessione è preoccupata: “Il sistema paese potrebbe fare molto di più. Abbiamo enormi opportunità che non sfruttiamo.”
Ai giovani “consiglierei di essere umili. Ne ho trovati di molto preparati. Bisogna iniziare senza guardare orari, soldi ed essere aperti. A volte i giovani si sentono sfruttati e sbagliano: devono imparare un lavoro. Devono andare all’estero per fare un’esperienza, non per scappare. L’estero per me è fondamentale per le lingue e per l’esperienza”.
Scholz a chiusura ci fa riflettere con alcune domande e spunti dalla testimonianza appena ascoltata: “Che rapporto c’è nella mia azienda con la famiglia? Che governance e che oggettività? Imparare dal mercato senza fissarsi sul prodotto. Fortissima visione, grande passione, in continuo dialogo con il mercato. Innovazione. Qual è la differenza che faccio con la mia azienda o i miei prodotti? Cosa faccio di diverso e come lo faccio diversamente? Innovazione e territorio: orgoglioso del territorio. Nelle assunzioni uno può seguire la logica del tifoso od altra logica, ma una logica deve seguirla. Uno dei punti di non crescita delle nostre aziende è la non delega. Questo imprenditore non ha dato la colpa a nessuno ma ha messo in gioco la sua responsabilità. Non aspettarsi dagli altri, ma uno per primo che si mette in gioco. Leggere la difficoltà come opportunità o come fastidio. Noi del Cdo, abbiamo a cuore il sostegno alla responsabilità. Non aver paura della sfida e di farsi domande. Le domande che abbiamo sono la nostra potenzialità, la nostra ricchezza”.
Dal pubblico numeroso e attento, sono state poste numerose domande chiare e intelligenti. Ha chiuso la conversazione Petrillo ricordando lo scopo di CdO e i successivi appuntamenti.
Il gruppo di lavoro che ha organizzato la serata ringrazia di cuore la partecipazione dei relatori e degli auditori. Vogliamo che sia una delle numerose esperienze che ci vedrà lavorare insieme per dare un valore aggiunto. Auspichiamo sempre maggior riflessione sul tema dell’imprenditore: la solitudine è il peggior nemico. Vogliamo creare una nuova figura dell’imprenditore in rete nella quale lo sguardo comune aiuti le spirali virtuose, attivando vera e propria consapevolezza nella linea di vita, nell’ambiente familiare, imprenditoriale e sistemico. Imprenditori che coerentemente agiscono con gli stessi valori in famiglia come in azienda, per il bene comune, e che semplicemente con piacere condividono il proprio tempo creando progetti d’interesse collettivo. Questo in breve l’esperienza in CdO e il lavoro che vogliamo offrire alla piccola comunità nella quale ci è toccato vivere e lavorare. Come Marenzi quando afferma: “Chi sono io? Sono in sintesi: Un imprenditore, un grande conoscitore del mio settore e metto a servizio la mia esperienza”.
Compagnia delle Opere nasce per camminare a fianco di tanti imprenditori e professionisti che vogliono affrontare le sfide economiche, sociali e culturali in modo costruttivo e innovativo. Questa amicizia operativa, che fa leva sul senso di responsabilità e sul desiderio di contribuire al bene comune si concretizza in varie iniziative in ambito profit e non profit. Tra queste Matching, l’evento che favorisce le relazioni tra gli imprenditori e sostiene il cambiamento delle imprese; la Scuola d’Impresa, per una riscoperta del vero senso del lavoro e una corretta valorizzazione delle risorse aziendali; l’evento Expandere, opportunità di incontro e di business tra le imprese nel territorio; il sostegno al lavoro, alle opere sociali ed educative e i servizi per l’internazionalizzazione, con le missioni imprenditoriali all’estero. A livello locale sono molte le attività che hanno caratterizzato il lavoro di CdO, dal contatto diretto costante con gli imprenditori, al training per motivare chi perde il lavoro, agli eventi per promuovere il concetto di Rete d’Impresa.
L’Evento è stato organizzato in collaborazione con CdO Alto Milanese e CdO Varese.

Caterina Zadra e Ruggero Spagliarisi