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Crivelli (Pdl): Perché ho detto “NO” alla cittadinanza “simbolica” agli stranieri

Andrea Crivelli (Pdl)

Trecate - "Lo scorso lunedì 10 settembre - scrive il consigliere comunale del Pdl, Andrea Crivelli, nel suo blog - il Consiglio comunale di Trecate ha votato a maggioranza un “riconoscimento simbolico di cittadinanza italiana a bambini stranieri nati in Italia e residenti nel Comune di Trecate”. Io mi sono espresso contro tale proposta, senza prese di posizioni ideologiche ma anche senza esitazione alcuna. Prima di spiegare le ragioni della mia scelta, lasciatemi riassumere alcune informazioni importanti per comprenderle. In primo luogo, come si acquisisce la cittadinanza. I criteri sono principalmente due: lo ius sanguinis (diritto di sangue, per il fatto della nascita da un genitore in possesso della cittadinanza; vige nella maggior parte delle Nazioni europee, eccetto la Francia) o lo ius soli (diritto del suolo, per il fatto di essere nato sul territorio dello Stato; vige per esempio in Francia e negli Stati Uniti). Tuttavia, vi sono criteri “integrativi”: per esempio già oggi, in Italia, un bambino nato su suolo italiano da genitori stranieri può chiedere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno di età, divenendo a tutti gli effetti un cittadino italiano. Pochi mesi fa, è stata fatta molta demagogia di basso livello su tale questioni: come se il problema dell’Italia oggi (e di Trecate, in parallelo) sia se adottare lo ius soli o mantenere la concezione “oggettiva” di cittadinanza propria della tradizione non solo italiana ma europea. In questa bagarre populista e demagogica si è fiondato anche il Presidente della Repubblica Napolitano, che in barba al suo ruolo super partes è arrivato ad affermare che lo ius sanguinis sarebbe di fatto un sistema superato. Utilizzare in favore dello ius soli l’articolo 3 della nostra Costituzione – in cui si afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” – significa misconoscere che proprio quella locuzione “tutti i cittadini” ne rappresenta il senso più profondo. La mia riflessione parte da una semplice considerazione: un certo multiculturalismo, politicamente fatto proprio da buona parte della sinistra italiana, che fa di tutte le identità un unico “melting pot”, rappresenta una posizione auto-contraddittoria e che rivela in realtà timore per l’“altro”, per colui che ha una cultura, una tradizione, un’identità differente dalla nostra. Senza che questa differenza implichi alcun giudizio di valore o di superiorità dell’una sull’altra. Al contrario un Popolo, una Comunità con un’identità forte non teme affatto di confrontarsi con le identità e le posizioni altrui: è questo processo che permette di comprendere, di integrare senza per questo appiattire amorfamente, di cogliere quanto di buono può venire dal confronto senza per questo eliminare la differenza che esiste. Il problema è che la nostra Nazione – ma il discorso, in senso più ampio, può essere applicato in maniera analoga alla situazione di un’Europa che è economica e finanziaria ma non politica e identitaria – ha rinunciato a questo ruolo in nome di un buonismo sciagurato, che vuole ridurre tanto noi italiani quanto gli stranieri a un ipotetico modello di eguaglianza che altro non è che un’imposizione accompagnata da una mal celata pretesa di superiorità. Molto spesso proprio gli stranieri – non avendo conosciuto la profonda crisi culturale, religiosa, sociale e politica che ha attraversato l’Europa tra Ottocento e Novecento e che tutt’ora perdura – sono portatori di un’identità più forte (o, forse, sarebbe più corretto dire “meno critica di se stessa”). Le comunità cinesi ne sono un esempio tanto evidente quanto estremo: ricreano una propria comunità, impermeabile alle spinte esterne, al fine disalvaguardare il proprio modello politico e socio-culturale. L’atteggiamento di quel multiculturalismo, al contrario, rappresenta il totale abbandono dell’identità e delle tradizioni di una Comunità, salvo poi voler sostenere che l’egualitarismo – che ha le sue radici storico-filosofiche nell’Illuminismo e nella Rivoluzione Francese – sia invece un valore assoluto da “insegnare” (ma si potrebbe forse dire anche “imporre”) agli altri. È per questo motivo che non credo che appiattire le differenze sia la soluzione dei problemi di integrazione – sociali, economici e di sicurezza che innegabilmente esistono e che ci sono anche nella nostra Trecate – ma sia solo una presa di posizione incoerente e inutile, se non dannosa e poco rispettosa delle identità in gioco in questa dialettica: tanto, soprattutto, di quella italiana, quanto di tutte quelle degli stranieri. Non è con i gesti simbolici che si risolvono i problemi: la stessa sinistra che considera demagogica la posizione sull’immigrazione del centrodestra e della Lega, non dovrebbe considerare se stessa meno demagogica nel credere che l’adozione dello ius soli rappresenti la “soluzione di tutti i mali”, quasi come se la concessione dalla nascita della cittadinanza italiana impedisse ad alcuni stranieri di delinquere, per esempio. Riconoscere nello “straniero” il portatore di una identità differente, nel reciproco rispetto. Riconoscerlo, soprattutto, entro il ruolo che gli è proprio: quale ospite presso la nostra Comunità. Un’ospitalità che è sacra, come insegna la nostra tradizione culturale, ma che può e anzi deve essere revocata con fermezza qualora venga meno quel reciproco rispetto: l’accoglienza è un valore solo se è accompagnata dalla risoluta condanna di ogni altrui comportamento improprio, illegale o irrispettoso. È per questo che rigetto ogni accettazione supina e imbelle delle identità differente dalla nostra: perché amo la mia Nazione e l’identità di cui sono portatore. E resto convinto che la condizione per risolvere le problematiche attuali dell’immigrazione non passi attraverso il melting pot multiculturale, ma attraverso il reciproco rispetto di identità differenti che si riconoscono come tali e proprio per questo capaci di convivere: come considero dovere di uno straniero essere consapevole di essere ospite in un luogo che non è “casa” sua e rispettare chi ci vive da sempre, considero altrettanto mio dovere impedire che la sua identità venga appiattita sulla mia".