Novara - "Carissimi - scrive don Silvio Barbaglia, tra i principali promotori in diocesi del progetto Passio e figura molto importante nella Pastorale giovanile - mi aggiungo anch'io per esprimere qualche riflessione sulla notizia, direi, incredibile che tutti abbiamo ricevuto... Lo sconcerto per un legame inevitabilmente interrotto con una persona cara, è tanto più forte quanto maggiormente questa è punto di riferimento, è amata, ed è importante. Chi poco "lega il cuore", poco s'interessa e poco soffre... Soffre di più chi mette qualcosa o molto di sé. E credo che oggi e anche dopo, moltissimi in tutto il mondo non solo siano rimasti sgomenti per un evento desueto rispetto alla storia da circa 600 anni ma soprattutto abbiano provato un senso di dolore, di distacco, quasi vicino alla morte. Eppure Papa Benedetto XVI è vivo, ma non se la sente più, le sue forze non sono sufficienti per fargli vivere il Ministero petrino come Lui l'ha sempre pensato, vissuto ed amato! Vorrei proprio partire da questo status emozionale che anch'io ho vissuto tanto oggi e credo continuerò a sentirlo anche nei prossimi giorni. Ma non vorrei fermarmi a questo, vorrei cercare di guardare dentro di me e forse qualcuno di voi si potrà anche ritrovare. Farò anche il tentativo di guardare "dentro" a Papa Benedetto XVI per comprendere che cosa, dall'osservatorio della mia sensibilità, possa averlo indotto a una scelta così, unica nel suo genere, in questo particolare momento storico. Vorrei partire dalla giusta rivendicazione di tante voci di oggi: "ma un padre non abbandona i suoi figli!". E' abbastanza vero che con oggi la Chiesa si sente un po' orfana, umanamente parlando, è venuto meno un punto di riferimento per molti fino ad oggi. Certo la cosa vale fino alle ore 20 del 28 febbraio, ma psicologicamente il distacco netto è cominciato oggi. E credo che sia sano che si dia voce a questo modo di sentire che è quello della gente semplice e vera, è quello di molti parrocchiani che dopo anni condivisi con il proprio prete ascoltano la notizia che quel legame bello e profondo è chiamato a interrompersi, non perché è morto il parroco, ma perché ha scelto di andarsene o è stato spostato. Diciamo che il fenomeno di raccogliere firme e di fare manifestazioni è anche facile per tanti parrocchiani quando (a volte giocandoci un po') il parroco fa capire di essere stato spostato suo malgrado. Ma quando capita - e sono pochi i casi - che è il parroco a dire che è stato lui a chiedere di lasciare allora è più difficile capire la cosa da parte dei parrocchiani e ogni raccolta di firme per tenerlo parrebbe fare un atto di violenza contro di lui. E i parrocchiani in questo caso si sentono anche un po' traditi, diciamo o quanto meno, feriti anche in una forma di orgoglio affettivo... non ci vuole così bene... appunto "un padre non abbandona i suoi figli...". Eppure in tutto questo modo di pensare c'è molta umanità, perché siam fatti un po' tutti così, ma non saprei quanto Vangelo si giochi davvero in tutto ciò. E pensandoci mi pare di poter dire - osservando la scelta di Papa Benedetto XI nell'ottica del Vangelo, per quel che riesco - che il suo "essere stato umile operaio nella vigna del Signore" (come ha detto in quel primo suo discorso al mondo intero nell'aprile 2005) è stato vissuto da parte sua fino in fondo. C'è una "paternità" nel Vangelo che oserei dire strana e, per alcuni versi, temibile e terribile... Quelle parole rivolte ai discepoli contro gli scribi e i farisei in Mt 23 quando Gesù dice di non farsi chiamare "rabbì" perché uno solo era il loro "Maestro" e di non chiamare nessuno "papà" perché uno solo era il loro "Papà" sono parole molto pesanti!!! Nessuno può sostituire Dio come Maestro e come Padre, anche Gesù si pone come "guida" per i discepoli, anche lui si mette alla scuola dell'unico Rabbì, il Padre e dell'unico Abbà, appunto. Ma la storia della Chiesa e la nostra storia ci dice che noi abbiamo un immenso bisogno di vedere Dio, di toccare Dio, tanto in esempi fulgidi, quanto in santoni che sappiano rispondere e corrispondere ai nostri bisogni! L'apostolo, il vero apostolo - e il Papa è successore dell'apostolo Pietro - "gioca di sponda": è punto di riferimento, è roccia solo e unicamente se apre e rimanda all'Altro, apre al Maestro e al Padre unico, quello dei cieli. Il dramma è quando ci si crede indispensabili in tutto e il servizio diventa potere. Ciò che diciamo dei politici vale per ogni "cadreghino" di questo mondo e quando uno siede sulla "cadrega" di Pietro, è facile immaginare che le tentazioni (ricordate quelle di Gesù...) del potere, della folla, della notorietà e molte altre oscurino la limpidezza del Vangelo anche là dove uno pensa sia conservata la purità della Parola di Dio, in Vaticano, presso il Papa. Tutti sappiamo che purtroppo non è così... Il Ministero petrino è un servizio a tutta la Chiesa e all'umanità, il papa è il "Servus servorum Domini", lui che è il più in alto di tutti, nella sua più bella definizione, è colui a cui maggiormente è affidato il grembiule della lavanda dei piedi all'ultima cena di Gesù, che continua nella sua Chiesa in questa storia. Papa Giovanni Paolo II ha sentito che il modo più profondo per testimoniare la paternità di Dio per ciascuno di noi fosse quello di "non scendere dalla croce come Gesù", Papa Benedetto XVI, in modo ancor più radicale e creando una ferita affettiva, dice all'intera Chiesa che Colui che cerchiamo non è Lui, Lui è stato e continuerà ad essere in modo diverso quell'umile servitore nella vigna del Signore! Insomma, diciamocelo: anche noi abbiamo bisogno di vedere il Signore e di toccarlo, ma Lui, il Signore è oltre, è sempre oltre e grandi quegli uomini e quelle donne che ci hanno aiutati e ci aiutano a guardare oltre, attraverso di loro! Attenzione invece a quelli la cui vita è specchio di se stessi, parlano del Signore ma di fatto si compiacciono - con astuzia - di sé e il proprio "ego" cresce sempre più facendo anche del gran bene, ma un bene che è benzina del sè! Ma quando un uomo, nel gravoso ministero di Pietro, sente di non essere più all'altezza del compito a cui è stato chiamato, proprio perché vengono meno le forze, può rinunciare nella sua assoluta coscienza per un bene più grande. Questo è il punto: per un bene maggiore, quello di Cristo e del suo Vangelo, quello della Chiesa! E' proprio su questo snodo che vedo l'incontro tra i "cromosomi" di Papa Benedetto XVI (cioè la sua propensione caratteriale, il suo stile) e il Vescovo di Roma. Il bene maggiore della Chiesa l'ha portato nel 2005 ad accettare di divenire Papa, nonostante vedesse con chiarezza che si trattava di una responsabilità troppo grande che Egli stesso probabilmente non avrebbe mai voluto rivestire. Ma il bene della Chiesa di Cristo l'ha portato a dire di sì! E ora il Papa ha visto arrivare il tempo del ritirarsi, di lasciare - pur ancora in vita e forse anche in salute - il Ministero petrino ad un altro Sommo Pontefice, quale "servo inutile nella vigna del Signore". Credo che Papa Benedetto XVI, nella prospettiva del servizio alla Chiesa abbia proprio valutato che per il bene della Chiesa, lo stesso "bene" che l'aveva forzato a dire di sì, gli chiede oggi di dire di no! E' per il bene della Chiesa che si è capaci di fare un passo indietro e questo vale - per ogni potere di questa terra - come esempio, monito e libero distacco, tipico di chi sa che il Vangelo è più importante di ogni calcolo umano. Penso davvero che Papa Benedetto XVI avrebbe potuto anch'Egli giungere al termine della sua vita così, stringendo i denti per la fatica sua ma soprattutto per le fatiche di una Chiesa sempre più contraddittoria nel suo interno, ma ciò sarebbe andato contro la sua coscienza! Sì, perché la coscienza è plasmata dal Vangelo ma è fatta anche dei nostri "cromosomi": chi proviene da una sensibilità monastica, di preghiera, di ricerca e di studio porta dentro di sé tutta la vita questo richiamo. Il Cardinal Martini ha avuto "la fortuna" di non diventare Papa e ha potuto ritornare al suo grande amore, alla Parola contemplata, alla Terra Santa, al testo biblico e così ha passato gli ultimi anni della sua vita.... ricordo Mons. Aldo Del Monte come era risorto ritornando ai suoi antichi richiami della natura e della letteratura, nella contemplazione, pensiamo anche mons. Corti, per chi l'ha incontrato ultimamente, come è "Ri-nato"! In definitiva, per il bene della Chiesa e del Vangelo di Cristo, credo proprio che Papa Benedetto XVI abbia preso questa "gravissima decisione", molto sofferta ma onesta e veritiera. Il suo ritiro in monastero lo sento come il grande ritorno all'antico amore, quello della preghiera, della contemplazione, della liturgia, dello studio, di Dio! Mi commuovo a pensare che un grande di questa terra, come è un Papa - e Papa Benedetto è stato e continua ad essere un Grande davvero - se ne esca di scena per un bene più grande. Caro Papa non mi sento tradito da te, anzi mi sento aiutato a purificare ogni azione in nome di Dio che tento di compiere nei miei giorni. Spero un giorno anch'io di lasciare la scena così, nel mio piccolo, senza trionfi e forse lasciando anche confuso qualcuno. Anche Gesù se n'è andato via in fretta, una quarantina di giorni coi suoi, poi, in pochi l'han visto salire in cielo. Se non se ne fosse andato e non avesse lasciato il posto "ad un altro Paraclito" non saremmo qui a raccontare queste cose!!! Grazie caro Papa perché mi fai guardare verso quell'oltre nel quale tu hai posto il tuo sguardo da tutta la tua vita! Queste parole volevo condividere con voi, al termine di questa giornata importante nella memoria spirituale della Chiesa!".