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Dalla Guyana francese alla Biomimesi

Romentino - Martedì 12 dicembre, gli studenti dell’Istituto Pascal di Romentino hanno incontrato il dott. Stefano Roccio, diplomato presso l’Istituto stesso e oggi biologo, specializzato in biomimesi presso l’Università di Utrecht. Roccio ha prima di tutto condiviso con gli studenti la sua recente esperienza nella foresta tropicale che, ha tenuto a precisare, occupa una considerevole parte del nostro pianeta da cento milioni di anni producendo gran parte dell’ossigeno che respiriamo e che assorbe la co2, uno dei gas serra prodotto dalle attività umane, sprigionando l’ossigeno che ci permette la vita. Dalle misurazioni effettuate in loco, la foresta, con le sue specie, sta crescendo e, tramite fototrappole, sono state registrati i dati delle specie che la popolano: giaguari, puma, tapiri ma anche rane velenose e diversi tipi di tarantole, quelle docili ma pericolosissime, e quelle “mangia uccelli” o “faccia da orco”, la cui ragnatela blu è talmente resistente da essere in grado di essere impiegata per la produzione di giubbotti antiproiettili. Il metodo di copiare dalla natura per realizzare o migliorare tecnologie già esistenti si chiama biomimesi, ed è l’argomento del recente libro pubblicato dal ricercatore, “La natura non ha copyright”, la cui trattazione ha costituito la seconda parte dell’incontro. Biomimesi, cioè l’imitazione della natura che consente l’adattamento al pianeta tramandato dagli esseri viventi di generazione in generazione molto prima della comparsa dell’uomo: se l’uomo costruisce sulla natura e non riesce a selezionare ad hoc gli elementi della tavola periodica da sfruttare, arrivando a produrre un livello di scarti tale da non riuscire a metabolizzarli in modo virtuoso, gli animali, invece, si sono specializzati selezionandone un ambito specifico. 

Facciamo un esempio: lo squalo ci ha ispirato la produzione di superfici antibatteriche per via delle scaglie del suo corpo, disposte ad intervalli regolari, che lo rendono veloce in acqua e che contemporaneamente impediscono ai microrganismi di proliferare, lasciando la sua pelle priva di batteri. Da qui la “sharklet”, creata dagli esseri umani come superficie adesiva e fessibile, applicabile a qualsiasi superfice, non solo in ambito sanitario ma anche quotidiano: vetri di cellulari, maniglie ecc. Ancora, il coleottero delle nebbie, vivente in Sud Africa, raccoglie l’umidità delle nebbie provenienti dall’oceano grazie ai rigonfiamenti del proprio corpo che agiscono come magneti e lo rendono in grado di dissetarsi: quest’idea viene ripresa nelle zone soggette a siccità o addirittura nella costruzione bottiglie d’acqua che si riempiono in autonomia grazie ad un’ergonomia tale da sfruttare l’umidità notturna dei diversi ambienti terrestri. Ma c’è di più: una muffa che è un computer biologico in grado di riprodurre, espandendosi per colonizzare l’ambiente circostante, la linea della metropolitana di Tokio e che viene già usata da Tesla come intelligenza artificiale nell’ideazione di piloti automatici o di bio robot in grado di individuare e distruggere cellule tumorali.

L’invito ai ragazzi, infine è stato quello di rimanere curiosi del mondo circostante, senza giudicare ma accogliendo la biodiversità come risorsa di idee: magari il sedile dell’aereo che ci sta portando in vacanza o la cintura di sicurezza dell’auto su cui viaggiamo sono fatti con la tela del “ragno orco” proveniente dalla foresta amazzonica!